L’artista emergente Paina Dhanjal, ragazza ventiduenne di origini indiane, ha condiviso con me la propria realtà, mostrandomi la sua camera, che ha trasformato nel suo studio personale dove si dedica alla realizzazione delle sue opere, che nascono riflettendo su una verità fondamentale per lei: arte e spiritualità vanno all’unisono.

Quella camera non è solo una delle diverse stanze di casa sua, ma rappresenta il suo mondo, la sua storia, le sue esperienze che si sono radicate in lei, dando origine alla persona armoniosa e gioviale che ho avuto il piacere di conoscere.

Paina coltiva delicatamente la sua persona, così da colmare il suo corpo e la sua mente di impressioni suscitategli da ciò che la circonda. È un’osservatrice meticolosa che conserva accurati dettagli tramutandoli in ispirazioni, che assorbe dentro di sé come doni per la sua arte. La sua produzione artistica, sempre più in sperimentazione, è evidentemente connessa con l’obbiettivo di creare un amalgama tra presente e passato, tra dimensione onirica e le alterità reali che l’artista riflette su di sé congiungendole con le proprie mani.

Il sogno, cos’è? Qualsivoglia, è l’intima scoperta del proprio essere, la pregiata possibilità di aprire per un tempo indeterminato la porta dell’inconscio che adora non farsi scoprire nei suoi desideri e paure.

La storia di Paina è profonda, connessa al suo spirito sognatore che ricerca in sé la prima fonte di conoscenza. Il racconto della sua vita, che ha condiviso con me, mi ha portato a paragonarla alle radici degli alberi che riescono a trarre nutrimento dalla terra, non spoglio, non con dei rami secchi, ma dalla chioma rigogliosa e costantemente in fase di perfezionamento. In accordo con lei, penso che l’essere umano sia questo.

Nata a Tanda Churian, un piccolo villaggio dell’India immerso nella vegetazione, afferma di essersi sempre sentita in connessione con la natura e, al contempo, nutriva già in tenera età il desiderio di aprirsi a nuove esperienze: «Dentro di me vi era un lato che diceva di essere uno spirito segreto, come un uccello che vola verso l’infinito» dichiara.

All’età di quattro anni si trasferisce in Italia con la sua famiglia e confessa di sentirsi quasi un’estranea inizialmente, dato che «era un mondo nuovo, tutto da conoscere. Eppure, a me all’inizio piaceva nascondermi».

Mettere le proprie radici nell’ignoto è sempre alla base dell’assimilazione primordiale del mondo esterno, è il primo passo verso il disincanto infantile congiunto alla contemplazione matura del nuovo.

Dopo qualche tempo, a circa dodici anni, torna in India. L’incontro con suo nonno in quel periodo sarà per lei indimenticabile, in quanto lui era profondamente connesso con la Meditazione. Riferisce: «Da qui inizia il mio stato spirituale, perché quell’incontro mi diede un’energia interna tale da farmi sentire leggera, come se lasciassi il mio corpo. È indelebile però anche ciò che è accaduto mentre davo a mio nonno il mio ultimo saluto: un Pavone mi corse di fronte molto velocemente e mi diede un’energia che ancora porto dentro.»

Dalla Serie Vishv (cielo, acqua, suono), carta riciclata fatta a mano con pigmento blu oltremare, 20 cm x 30 cm, 2022.

La dimensione a cui Paina si unisce da quel momento in India continua per lei a essere fonte di riflessione e ispirazione.

Inoltre, in Italia approfondisce insieme alla madre la Meditazione che con il tempo è diventata un’abitudine quotidiana per farle provare libertà, ma anche una diversità ricca di sensibilità che si fonda sul riconoscimento delle diverse energie che ognuno possiede.

Uno dei principi fondatori delle sue opere è, nondimeno, il seguente: «Il corpo non è durevole, mentre c’è nel nostro spirito un’energia eterna, che è tutto ciò che ci identifica. Vedo il corpo come una gabbia in cui siamo costretti a vivere e di cui inevitabilmente dobbiamo prenderci cura, in quanto si concretizza con l’anima. Io ho deciso di vivere più nello spirito e questo per “le persone normali” è una noia, ma non penso sia colpa loro, anche loro vivono in una gabbia».

Negli anni in cui frequenta il Liceo Artistico di Ancona conosce il Professore e Artista Nicola Farina, una persona per lei tuttora indispensabile che la aiuterà nel processo conoscitivo di se stessa, rompendo il silenzio che finora la tediava per nutrirsi di ciò che non abbandonerà mai: l’Arte.

È vera la concezione di Edvard Much, secondo cui l’arte consiste, al massimo grado, nel bisogno di un essere umano di comunicare con altri.

L’ispirazione è condizionata anche dall’indole dell’artista, che a sua volta deriva principalmente dalle proprie esperienze. Allora, la natura non è forse da riconoscere come un insieme di linee esplosive della vita? Essa è policromatica, composta da colori intercettati con l’impressione per poi essere coinvolti intimamente in uno stravolgimento emotivo privato dell’artista.

Le ho chiesto, allora, il motivo per cui avesse deciso di studiare arte e la sua risposta è stata molto stimolante, rivelandomi che fin dalla tenera età prova ammirazione per i colori, a partire da quelli dell’India, convinta che siano lo strumento più degno per dar voce all’energia e alla spiritualità che si celano dietro le sue opere, a cui desidera dare armonia.

Descrivendo l’esperienza che attualmente vive all’ABA di Macerata, Paina esplicita la volontà di riconoscere l’arte come cultura che verte anche alla continua ricerca personale.

Ha esposto alcune delle sue opere per Mostre organizzate dall’Accademia, tra cui: “Premio Utopie di Bellezza” a Palazzo Bisaccioni (2021/2022); “Drappeggio oltre lo spazio”, presso L’Accademia di Belle Arti di Macerata (2022); “Estensioni Gaba MC Young”; “Le Sfide”, nella Galleria degli Antichi Forni di Macerata (2022); “Libri in gioco” alla Mole Vanvitelliana di Ancona.

Il materiale principale impiegato per la realizzazione delle sue opere è la carta fatta a mano a partire da quella riciclata, che ha scoperto tramite numerose sperimentazioni, per poi ammirarla sempre di più rivelando la delicatezza e la fragilità che si celano dietro la sua lavorazione, a cui però si unisce la durata nel tempo.

Infatti, afferma di vedere «la carta come il corpo e il colore come energia e vibrazioni».

Altri materiali impiegati oltre alla carta sono minerali, argille, carbone, pigmenti, filo e stoffa, ispirandosi alla madre sarta.

Simran (ricordo, rimembranza, meditazione), 70 cm x 70 cm, carta fatta a mano, 2021. Opera selezionata per il “Premio Utopie di bellezza”.

Yogi, carta fatta a mano e argilla, 21 cm x 21 cm, 2023.

Lunasat, carta fatta a mano, stoffa e filo, 12 cm x 10 cm, 2022.

Frammenti di essenza, carta fatta a mano, grafite, carbone, minerale tormalina, 84 cm x 78 cm, 2022.

Sospiro, stoffa, petali, filo, 10 cm x 16 cm, 2021.

Paina vive diverse “Fasi di colori” a seconda di ciò che sente dentro di lei.

La prima fase della sua spiritualità è stata perpetrata dal colore Nero, che suggerisce un senso di pesantezza, insicurezza, paura, essendo già di per sé un colore molto intenso che ha il potere di assorbire.

Serie Mysterious, carta fatta a mano con nero d’avorio ottenuto dalla grafite di carbone e il minerale tormalina nera, 30 cm x 42 cm, 2022.

Personalmente, ho sempre visto il nero come il colore della tomba, della perdita, della mancanza, della noia, di uno spazio al contempo vuoto e pieno e quindi, anche dell’immaginazione più estrema.

Pensiamo alla Serie Mysterious sopra riportata. Sulla tela posta a destra osserviamo le foglie colorate di Tormalina nera e disposte in modo tale da ricordarne la caduta, tra cui una solitaria e, su quella di sinistra, la piuma di un pavone e, guarda caso, un pennello. Anche nell’intensità del colore nero, il rilievo di questi elementi vuole suggerire la potenza dell’arte che, con la sua energia, dà vita anche a ciò che perisce.

Serie Vishv (cielo, acqua, suono), carta fatta a mano con pigmento blu oltremare dal minerale lapislazzulo, 20 cm x 30 cm, 2022.

La seconda fase è invece caratterizzata dal colore Blu, inteso dall’artista come bellezza e fortemente legato al tema rappresentato nella maggior parte delle sue opere, cioè il Sacrificio compiuto da due principali divinità indiane per salvare il mondo: Shiva, che beve il veleno; Krishn, che combatte con un serpente.

Un’altra fase fondamentale è quella legata al colore Bianco, da intendere come il silenzio, un momento di estasi e di contemplazione. È la fase di lucentezza e purezza dell’anima, associata quindi anche alla libertà e alla bellezza interiore.

Conversando con lei, le ho raccontato di quando in un museo il mio sguardo ha incontrato una parete vuota e bianca, probabilmente perché una tela era stata trasferita momentaneamente in un altro luogo. Quel momento è stato per me travolgente, una danza di emozioni e nutrimento per la mia immaginazione, come ciò che ho provato osservando l’opera Simran in cui i frammenti e le mancanze sono rammendati per ricordare e ricostruire l’unità decorativa e vitale dell’opera.

Il bianco, a cui apparentemente ognuno di noi associa l’assenza di colori, il vacuo momento contemplativo, è in realtà un colore impressionante per la sua tacita energia, a cui l’artista sa dare un colore e una forma.

Il colore ha il potere di dare forma perfino all’astratto: questo è ciò che insegna anche il grande maestro Vasilij Kandinsky con l’Astrattismo, verso cui la stessa Paina si pone con estrema ammirazione, pensando all’ arte come la cultura delle forme costellate di vibrazioni.

L’anima riceve un’influenza diretta dal colore e così si arricchisce di una bellezza singolare. Questo fa sì che un’opera d’arte possa creare un nuovo mondo, da vedere non come una semplice rappresentazione di oggetti, ma similmente a un mosaico interiore, i cui tasselli sono i molteplici stati d’animo.

L’arte di Paina è come una cristallizzazione geniale della stratificazione umana, da intendere come la totalità di esso.

Quest’artista emergente afferma di non dare un nome al suo stile e allora, chiedendole: «Ma è qualcosa di cui potresti fare a meno?», ricordando “Lettere a un giovane poeta” di Maria Rilke, la sua risposta è stata, senza esitare: «No, il mio stile è tutto, è la mia libertà».

Paina dona al suo stile un soffio vitale per animare le sue opere, riuscendo così a ritrovare la sua infanzia, meravigliandosi di ciò che vive tutto intorno.

«Secondo me, come l’arte può invadere l’intero mondo, anche la spiritualità ne ha il potere perché ci sono diverse energie, positive e negative, che vengono assorbite da ognuno di noi. Il mio scopo è allora quello di diffondere in ogni angolo la spiritualità, che non è una fase, bensì un processo, proprio come la nostra vita semina il nuovo. Nessuno di noi al momento della nascita è pienamente in connessione con la vita terrena, ancora non sappiamo cosa sia il bene e il male, anche se siamo certi che il bene sia amore», conclude Paina.

L’artista è quindi chi sa dare una voce a questa unione, intersecando in sé le vibrazioni che accoglie una volta osservato il mondo che lo circonda, come un “regista di vite”, tra cui la propria.

L’incontro con Paina Dhanjal mi ha suggerito una riflessione fondamentale: in un mondo in cui la materializzazione sta sempre più prendendo il sopravvento nei confronti di ciò che biologicamente rappresenta la natura dell’uomo, l’arte in tutte le sue forme rimarrà l’eterna possibilità di ricostruire la cultura esaltandone lo spirito.