Quando Barbara mi ha invitata a leggere il romanzo dello scrittore Ivan Sciapeconi, credevo di intraprendere un altro tipo di viaggio; sì perché ogni libro che ci apprestiamo a sfogliare con lo sguardo accompagna, inevitabilmente, la nostra persona a muovere dei passi lungo un tragitto che suscita le più imprevedibili e disparate riflessioni ed emozioni: delicati sentimenti, gaiezza ma anche sconcerto, incredulità.” Il nome che diamo ai colori “ è stato per me un pugno ben centrato nello stomaco, inaspettato, di quelli che lasciano senza fiato, un pugno che tuttavia lentamente pagina dopo pagina si è schiuso diventando una calda e rassicurante mano aperta sul ventre pronta a lenire il dolore del colpo inferto.Al Giardino, questa è la denominazione della struttura in cui si svolgono le vicende narrate, accadono fatti inimmaginabili per coloro che conducono lo loro esistenze al di fuori, fatti che non lasciano spazio a equivoci o fraintendimenti.Il Giardino tradisce col suo nome l’ambiente che in esso prende forma : è assenza di colori, di fiori, di indumenti freschi di bucato che sanno di accorta premura, di materno accudimento.Il Giardino è una spaventosa prigione “con un fossato d’acqua marcia attorno”, cancelli, recinzioni e cani per la notte lasciati liberi a evitare fughe notturne qualora ce ne fosse stato il solo pensiero.Il Giardino è un “istituto medico psicopedagogico” per ragazzi definiti subnormali, soggetti irrecuperabili, oligofrenici, incontinenti, maniaci, inferiori alla media dei propri coetanei”, un luogo dove l’infanzia e la giovinezza vengono mortificate, lacerate, annientate perché questo è ciò che un direttore e i suoi sorveglianti, fedelissimi aguzzini, vogliono : cancellare “quel poco che resta di un passato, un vissuto”.
Tuttavia in questo luogo dimenticato dagli uomini e forse da Dio stesso, c’è chi si è creato un mondo per sopravvivere, per resistere alle violenze, alle bastonate date al posto di comprensivi abbracci; resistere alla faccia sfregata sulle lenzuola bagnate dalla propria urina.Chi resiste è Ettore, voce narrante e protagonista indiscusso di questo romanzo, un ragazzino tredicenne che crea nella sua mente immagini, traccia “paesaggi, cascate, fiumi, alberi”, e creando con la fantasia apre un varco oltre l’oscurità dei traumi subiti, oltre una buia e sporca cella di punizione.Creando, Ettore ritrova i colori, ritrova ciò che all’interno della struttura vogliono far dimenticare. Tra questi colori ve ne è uno che cambierà totalmente la sua vita e quella di tutti i ragazzi presenti nell’istituto, ed è il colore verde di una Cinquecento, la Cinquecento di un uomo di poche parole ma dall’occhio attento e vigile, un adulto che si ritroverà per un caso del tutto fortuito ( e da parte sua incalcolato) a divenire il maestro dei piccoli.Non si può non sviluppare un sentimento empatico verso questo uomo, degno finalmente di questo nome, del quale non viene mai svelata l’identità fatto del tutto trascurabile agli occhi di un lettore che coglie anzi nei suoi mancati discorsi l’aver (invece) compreso ogni cosa : compreso le umiliazioni, le punizioni corporali, la spietatezza con la quale ogni giorno si ripetevano gli stessi grigi e feroci rituali: essere legati ad un letto, pestati a sangue, anestetizzati dai farmaci.Un uomo che agisce e non si “gira dall’altra parte e fa finta di non vedere”. Ettore lo definisce un “fantasista” uno che sa dribblare, io lo definisco un irregolare, un sovvertitore che stravolge gli abominevoli schemi del Giardino e rompe le indicibili e disumane crudeltà. Lui che “dà fiducia” ai ragazzi, fa loro provare il sapore di una giornata in libertà con il vento che sfiora il volto; lui che appoggia la mano sulla spalla e li fa sentire umani e non “teorie” o “figli di uno schedario”.Sciapeconi scrive nel suo romanzo una massima molto commovente e indiscutibilmente vera:

“NON C’E’ SOLITUDINE FIN QUANDO QUALCUNO È DISPOSTO A PARLATE DI TE” e in questa frase ho trovato in gran parte il senso di questa storia delicata e dell’operato di questo maestro che ha colmato il vuoto di quella solitudine e del senso di totale abbandono con amorevoli gesti e grande umanità.Un uomo che, parafrasando una celebre frase dello scomparso giornalista pacifista V. Arrigoni…

“E’ RESTATO UMANO ANCHE QUANDO L’UMANITA’ INTORNO A LUI SEMBRAVA PERSA, O IN QUESTO CASO LO ERA DEL TUTTO”

Fausta Morbidoni

Durante questo evento le parole hanno acquisito nuove forme risuonando nel profondo delle emozioni! Grazie a Ivan Sciapeconi che ci ha insegnato come si fa! Grazie a Fausta Morbidoni che ci ha aiutati a disegnare un’immagine empatica della storia, grazie ai ragazzi di Turbolento teatro, guidati dal regista Donatiello Dino, che ci hanno fatto vedere come il talento e la passione creino verità intima che arriva come un tuffo al cuore!💖
Grazie al comune di Civitanova Marche e al consigliere comunale Gianluca Crocetti per il sostegno!